Chi sono
Sono Laura Pileri,
atleta professionista e mental coach.
Sono una persona sincera, altruista e curiosa; aperta a nuovi punti di vista e in continuo apprendimento.
Passione, determinazione ed empatia mi contraddistinguono in ogni cosa che faccio.
Un po' di me
Amo lo sport. Credo fermamente nei suoi principi e nella possibilità che offre di esprimere sé stessi, oltre che essere una potente metafora di vita.
Grazie ai miei genitori, mi sono avvicinata allo sport sin da piccola: ginnastica artistica, nuoto, pallavolo… Poi, a 17 anni ho conosciuto la Muay Thai (arte marziale thailandese) e oggi competo nel K1.
La Muay Thai, conosciuta per caso, è stata il mio “grande amore” e ha segnato profondamente il mio cammino.
Mi ha aiutato a livello di disciplina e incrementato la mia resistenza fisica e mentale. Ha contribuito alla mia crescita personale, forgiando il mio carattere e insegnandomi a credere in me stessa e nelle mie ambizioni. Inoltre, tutt’ora, mi aiuta a sentirmi in equilibrio.
Quando entrai in palestra la prima volta scattò qualcosa in me: era una sensazione nuova.
Mi sentii colpita e affascinata e, pur non sapendo nulla di quel mondo e delle sue regole, ebbi l’impressione di trovarmi “nel posto giusto”.
Passione e impegno crescevano di allenamento in allenamento e, a distanza di un anno, un po’ per gioco un po’ per sfida, feci il mio primo incontro di “contatto leggero” (che di leggero ebbe ben poco).
Fu un disastro totale… Scesi dal ring spaventata, delusa e demoralizzata: nulla di ciò che avevo immaginato si era verificato e io ero a pezzi sia fisicamente che psicologicamente (non sto esagerando); in sostanza fu più un trauma che un’esperienza da ricordare…
Il mese dopo, però, ci fu la possibilità di fare un altro match.
Chi mi conosce sa che odio rimanere nel dubbio…cosí ascoltai l’istinto e partecipai alla gara.
Fu la scelta giusta! L’incontro andò bene e scesi dal ring contentissima! Chiaramente la vittoria più grande fu vincere la paura con il coraggio.
Da quel momento ho continuato a gareggiare, fatto svariate esperienze e incrementato l’intensità degli allenamenti, salendo gradualmente di livello.
A vent’anni ho iniziato a lavorare a tempo pieno in un’azienda tessile: il lavoro mi piaceva, ma conciliarlo con gli allenamenti è sempre stato difficile, tanto che a volte credevo di non farcela.
Lo stress non era solo di tipo fisico ma anche mentale: l’impegno si estendeva oltre le ore in palestra, servivano attenzione e disciplina nello stile di vita in generale (alimentazione, riposo, ecc.) e il tempo libero era limitato.
Mi è capitato spesso di sentirmi sopraffatta, sia dalle circostanze esterne che dai miei stessi dubbi e pensieri; l’unica certezza che avevo era che non volevo rinunciare alla mia passione. Così andavo avanti, nonostante non fossi soddisfatta al 100%.
A un certo punto, complici il lockdown e il crescente senso di insoddisfazione professionale e personale (al limite del burn-out), ho fatto una scelta azzardata ma decisiva: lasciare il lavoro per dedicarmi esclusivamente allo sport e, parallelamente, al mental coaching.
Questa scelta ha rappresentato una svolta e sono felice di averla fatta, perché mi ha permesso di fare della mia passione il mio lavoro.
Condensare 13 anni di attività sportiva in poche righe è difficile. Ci sono stati alti e bassi, ma, proprio per questo, sono stati unici ed estremamente formativi!
Ogni scelta, caduta, deviazione, sconfitta o vittoria è stata frutto del mio sacrificio e del mio credo e questo non ha prezzo. Scorrendo velocemente tra i ricordi, un po’ di merito lo do anche a quel secondo match: se non l’avessi affrontato, forse non sarei arrivata dove sono.
Ci sono stati due momenti decisivi.
Il primo è stato iniziare un percorso di coaching.
Essere seguita da un mental coach che capiva di cosa stessi parlando e mi aiutava a migliorarmi è stato liberatorio e mi ha permesso di ridefinire molte delle mie convinzioni limitanti.
Oltre ad acquisire più consapevolezza, mi si è aperto un mondo e mi sono innamorata di questo metodo; così ho iniziato a leggere, informarmi, studiare e documentarmi sempre di più riguardo alle tematiche di coaching.
Il secondo si è verificato nel lockdown. Avendo molto tempo a disposizione, spesso riflettevo e mi ponevo domande come: “Cosa voglio fare davvero?”.
La risposta arrivò: volevo dedicarmi unicamente alla mia carriera sportiva e diventare una mental coach.